«Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade.
Ho tanta stanchezza sulle spalle.
Lasciatemi così come una cosa posata in un angolo e dimenticata.
Qui non si sente altro che il caldo buono.
Sto con le quattro capriole di fumo del focolare».
Così, il 26 dicembre del 1916, Giuseppe Ungaretti, ospite a Napoli da un amico, distillava in «Natale»
la pace piena di ferite di qualche ora di licenza dalla cruenta guerra che stava combattendo sul Carso. Ci confida di aver bisogno di stare lontano dalle strade della festa, rimanere in un angolo, ridotto a una cosa, per riscoprire, se ancora possibile, la gioia di esistere. Il «qui» del focolare domestico si contrappone al «lì» del gelo del fronte, dove ha imparato a scrivere sulle scatole dei fiammiferi e su pezzetti di carta i versi rivoluzionari e brevissimi che tutti ricordiamo. Il poeta, spogliato della sua umanità, prova a rinascere dalla vita ferita: così il movimento gioioso delle capriole di fumo del camino si
contrappone all’immobilità di chi è stato ridotto dalla guerra a una cosa disanimata. Quando la vita non ci tocca più, due sono i livelli di solitudine che attraversiamo: prima l’indifferenza verso il mondo e poi la repulsione, proprio quella descritta dai versi di «Natale», che però contiene anche il segreto per ritrovare il «tocco» della vita, il suo gusto. Una rinascita.
Anche noi in questo Natale sentiamo sulle spalle il peso di mesi di virus. Anche noi abbiamo bisogno di guarire da una certa indifferenza, se non repulsione, entrata nei nostri corpi e nelle nostre anime.
«Nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore: non sono mai stato tanto attaccato alla vita»
diceva Ungaretti per resistere, in una notte trascorsa accanto a un compagno morto. Lo scriveva in «Veglia», nella stessa raccolta in cui è inserita «Natale», una raccolta originariamente intitolata «Allegria di Naufragi», un paradosso che la poesia può permettersi: come può esserci gioia nel naufragio? Il poeta risponde così: «Il titolo, strano, dicono, è Allegria di Naufragi. Strano se tutto non fosse naufragio, se tutto non fosse travolto, soffocato, consumato dal tempo. Esultanza che l’attimo, avvenendo, dà perché fuggitivo, attimo che soltanto amore può strappare al tempo, l’amore più forte che non possa essere la morte. È il punto dal quale scatta quell’allegria che, quale fonte, non avrà mai se non il sentimento della presenza della morte da scongiurare».
Ecco il paradosso: solo a stretto contatto con la morte si sperimenta che tutto è destinato a naufragare nel mare del tempo. Eppure, proprio quando sono vicine al naufragio, tutte le cose lanciano il loro SOS: in quell’attimo si aggrappano all’amore come il naufrago al salvagente. E solo l’amore può trasformare il naufragio in allegria, perché solo in quell’istante si scopre che da soli non ci si salva.
C’è un’allegria nascosta in ogni naufragio: l’amore di cui abbiamo bisogno e che non abbiamo voluto ammettere per paura che questo significasse essere troppo fragili e vulnerabili. Abbiamo bisogno anche noi di guarire, starcene un po’ in silenzio, come una cosa posata in un angolo, senza mescolarci al groviglio della folla natalizia, e cercare ciò che ci terrà a galla: la relazione che abbiamo con le cose, con gli altri e con Dio. Relazioni che a volte sembrano diventare mute, ma il cui suono si ascolta solo se rimaniamo in un silenzio calmo, paziente e aperto al rischio di chi smette di voler dominare la vita e decide invece di ascoltarla.
Oltre i regali potremmo cercare «sotto» l’albero le radici della nostra vita, che cosa ci rende sempreverdi. Quelle radici sono la linfa per il nostro cuore ferito, per il nostro corpo stanco, per la nostra anima disincantata. Le radici degli alberi non gelano neanche d’inverno, anche quando la neve ricopre totalmente i rami ormai spogli e apparentemente morti. Quali sono le nostre radici? Dove la vita ci tocca, ci custodisce e ci nutre?
Questi giorni, forzosamente lontani dall’abituale «groviglio di strade» natalizie, possono essere l’occasione per raggiungere queste radici, con un esercizio di silenzio come quello descritto dal poeta: proprio nel naufragio da cui veniamo potremmo trovare l’allegria dell’amore che ci manca. La parola «natale» (dalla radice di nascere) potrebbe irradiare il suo potere tutto l’anno se ci ricordassimo che siamo fatti per nascere e non per morire. Come scriveva Rilke nelle Lettere milanesi: «Nasciamo provvisoriamente da qualche parte; solo a poco a poco componiamo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno più definitivamente». E questo comporta, come ogni nascita, un certo dolore. Anche Dio è nato come un naufrago: nudo, senza niente, se non la nostra fragile condizione umana, che da quel giorno è diventata anche divina.
Werlen: senza riforme, non siamo più Chiesa
settimananews.it/reportage-interviste/werlen-senza-riforme-non-piu-chiesa/
di: Matthias Altmann (a cura)
Martin Werlen, ex abate dell’abbazia benedettina di Einsiedeln, ha appena pubblicato un nuovo libro, con l’editrice Herder, intitolato Raus aus dem Schneckenhaus! Nur wer draußen ist, kann drinnen sein – “Fuori dal guscio. Solo chi è fuori, può essere dentro” –, dove invita la Chiesa ad essere creativa e aperta, e critica i circoli farisaici di oggi che hanno paura del nuovo. Scrive infatti in copertina: «un libro da gustare con cautela dai farisei». La seguente intervista è stata raccolta per Katholisch.de da ur (12 ottobre 2020).
Padre Martin, proprio nel mezzo della pandemia del coronavirus, lei invita la Chiesa a uscire dal suo “guscio”. Come vede la Chiesa in questa crisi? Nella crisi del coronavirus, si sono viste chiaramente le diverse immagini di Chiesa: si è passati dall’affermazione “La vita della Chiesa sta soccombendo” a una creatività molto grande. Un’esperienza centrale di fede mi accompagna e provoca continuamente: Dio non è là dove vorremmo che fosse, ma dove siamo. La Chiesa deve far fronte a questa realtà e cercare Dio in questa situazione, in questa crisi. Si è anche visto che la Chiesa deve essere profondamente creativa perché Dio è creativo. Se vuole testimoniare questo Dio vivente, non può fare altro che essere creativa. Quando si parla di una Chiesa che “soccombe” di fronte a questa situazione, si tratta di un’immagine tutt’altro che cattolica.
In che senso?
Da un siffatto punto di vista, si tratta soltanto di tenere in piedi un’istituzione. Ma la Chiesa è testimone della presenza di Dio – in ogni tempo. Non si può dire che, quando la pandemia del coronavirus sarà passata, allora potremo essere di nuovo Chiesa. Ma in questa crisi posso io stare accanto alle persone nel loro bisogno? Questa è la Chiesa.
Oscar Romero diceva che dove la Chiesa sta con le persone, con le loro gioie e loro dolori, lì è presente Cristo. Dobbiamo avere il coraggio di compiere questo passo. Finché la Chiesa aveva il potere forte di indicare come dovevano andare le cose e di ritagliarsi il proprio spazio, non era necessario richiamarlo. Molti aspetti del Vangelo non erano più percepiti o lo erano solo debolmente. Ma oggi questo non è più possibile. Per citare nuovamente Romero: la gente si è allontanata dalla Chiesa perché la Chiesa si è allontanata dalla gente.
Nel suo libro, lei propone, ad esempio, di guardare in maniera diversa la gente che se ne va, che abbandona la Chiesa e sostiene che la Chiesa non dovrebbe fissarsi troppo sui numeri…
Proprio da coloro che se ne sono andati possiamo imparare: come sentono la Chiesa, cosa imparano da essa? Se la gente non sente più cos’è la Chiesa, allora possono lasciarla senza che a loro manchi qualcosa. Se la Chiesa è percepita solo come un’istituzione la quale dice che questo e quello non si può fare, quale ragione hanno ancora per appartenerle? Ma la Chiesa è una vita profondamente condivisa. Quello che la costituzione pastorale Gaudium et spes afferma all’inizio – condividere ansie, gioie, speranze e dolori (tutto questo è Chiesa) – molta gente dentro e fuori non lo avverte.
Come può la Chiesa compensare questa perdita di autorità di cui parla?
Soprattutto i più in alto nella gerarchia ecclesiastica non devono isolarsi nel loro status, ma stare con la gente, e starvi per davvero. La domanda pertanto è questa: l’autorità nella Chiesa esiste perché uno status prevale sugli altri? O l’autorità cristiana esiste proprio perché si è in mezzo alla gente? All’apertura del sinodo dell’Amazzonia, mi ha colpito molto il fatto che papa Francesco abbia camminato in mezzo agli altri nella processione dalla basilica di San Pietro all’aula del sinodo. Questo va diritto al cuore e ci si rende subito conto che questa è la Chiesa: testimoniare un Dio che non parla dall’alto, ma che si fa uomo.
Lei scrive che il suo libro è dif icile da digerire per i farisei. Chi intende in concreto?
Non si tratta naturalmente del gruppo di 2000 anni fa, ma della tentazione di ogni credente di essere improvvisamente bloccato mettendo la legge al primo posto anziché la persona che è nel bisogno. Nel sentirsi migliori di coloro che ti stanno accanto, nel guardare gli altri con disprezzo, nell’insistere nell’osservanza delle norme. Se guardiamo ai farisei nel Nuovo Testamento, possiamo capire meglio la situazione attuale della Chiesa.
Percepisce in questo senso la Chiesa uf iciale come farisaica?
Non lo si può dire in maniera globale. Di fatto i più in alto nella gerarchia sono tentati di esserlo come qualsiasi altro battezzato. Vedo comunque – e l’ho costatato anche come membro della Conferenza episcopale svizzera – che i circoli farisaici sono molto dominanti nella Chiesa. Alcuni vescovi, pur rendendosi conto che la riforma è effettivamente urgente, non hanno il coraggio di procedere perché hanno paura delle reazioni, oppure sono bloccati da persone per le quali tutto deve rimanere com’era. In Germania lo si nota molto chiaramente nel cammino sinodale, dove si vede emergere la paura. E la paura è tipica dei farisei. Quando nel Vangelo guardiamo ai farisei, vediamo che hanno il timore che la fede vada perduta se non vengono osservate le norme. Un atteggiamento del genere regna anche nella Chiesa. Io scrivo nel libro: «Chiunque nel guscio va in fibrillazione quando sente la parola “riforma” dovrebbe chiedersi se molta gente non se ne va proprio per questo, per non ammalarsi di cuore». Se escludiamo le riforme, non siamo più Chiesa.
Perché?
Perché essere Chiesa significa essere in cammino. Il concetto usato negli Atti degli Apostoli per dire Chiesa lo descrive perfettamente: “cammino”.
Lei sottolinea anche che il confronto con i farisei nel Nuovo Testamento può aiutare la Chiesa a trovare una via d’uscita da vari vicoli ciechi, per esempio, il ristagno della riforma. Cosa intende dire?
Se nel Vangelo prendiamo sul serio i passi riguardanti i farisei, ci rendiamo subito conto di quanto ciò ci sia familiare. Mi sono sempre reso conto quanto siano attuali queste dispute. Per esempio, la domanda: chi è il mio prossimo? Gesù la rovescia: di chi posso essere il prossimo? Della persona che è nel bisogno. Non si tratta ovviamente di un problema di religione o di nazionalità. Quante volte i farisei hanno proposto i loro dubia per tendere un tranello a Gesù! Lo hanno accusato di infrangere la legge. E, quando qualcuno oggi chiede la riforma, certi circoli si affrettano a dire: ciò non è più cattolico. Oppure: questa è un’eresia. È esattamente la situazione in cui si trovava Gesù. Ma egli non si è piegato. Non ha mai nemmeno cercato di giustificarsi. Ha agito. E proprio ora, nella crisi del coronavirus, diventa chiaro che, se non abbiamo il coraggio di rischiare qualcosa, è evidente che questa è la fine dell’istituzione. Questa libertà, questo rischio della fede, è questo ciò che Dio ci chiede oggi.
Cos’è per lei la vera cattolicità?
Per me è importante che non usiamo mai la parola “cattolicità” in modo limitativo. Questo è esattamente l’opposto del suo vero significato: ampiezza. Questa ampiezza dell’amore di Dio deve diventare visibile nella cattolicità. Se un cardinale, per paura che le riforme possano muovere qualcosa, dice che la Chiesa deve rimanere cattolica, non posso che scuotere la testa. Io direi che la Chiesa deve diventare più cattolica. Diventa più cattolica? Questa è la domanda che conta. Per me questa è un’idea grandiosa che noi, come altri, trasformiamo nel suo contrario. È chiaro: la Chiesa – e non intendo qui una confessione – è cattolica, ma questo è un concetto aperto verso l’alto. Io non posso dire, adesso sono cattolico e basta. Essere cattolici è un cammino per entrare in questa ampiezza di Dio. O, come dice san Benedetto: a chi avanza nella fede, si dilata il cuore. Questa è cattolicità: avere un cuore grande.
Come può la Chiesa rendere più tangibile questa ampiezza?
Vivendo ciò che ascolta nella Parola di Dio e ciò che professa nelle preghiere. Non dobbiamo inventare qualcosa di nuovo, ma piuttosto vivere la nostra fede nell’oggi. Se siamo veramente alla sequela di Gesù e lasciamo che la sua parola e il suo esempio ci entrino nel cuore, allora non possiamo che diventare cattolici, cioè persone dal cuore grande.
Qual è l’idea di Chiesa che desidera ?
Se do una risposta breve, essa spiega troppo poco. Proviamo con un’immagine. Io sono cresciuto in montagna, e anche St. Gerold nella grande valle di Wals, dove lavoro adesso come prevosto, si trova in montagna. Questi luoghi danno un senso di sicurezza, invitano a guardare in alto. È così che immagino la Chiesa: sicurezza in una comunità dove si cammina insieme con lo sguardo rivolto in alto. I concetti centrali nella vita di fede sono aperti verso l’alto: fede, speranza, amore, cattolicità. Nel momento in cui lo capiremo, non saremo più chiusi entro i limiti, ma renderemo anche tangibile questa apertura. Io vorrei che la gente si muovesse verso questa apertura, in modo da scoprire cosa significa la fede, quale grande dono rappresenta. Di essa non dobbiamo aver paura, ma possiamo semplicemente viverla, nei giorni buoni e in quelli difficili.
Il Signore ogni giorno sulla nostra strada – L’adorazione eucaristica
GIOVANNI GIUDICI
Dalla rivista Testimoni 9/2020
È sempre lui che viene a noi. Dio si fa nostro prossimo. A queste pecore senza pastore, a questi malati senza medico, a questi uomini spogliati delle loro speranze ma ancora abitati dal suo ricordo e che lo cercano anche là dove sanno bene di non trovarlo; proprio in questo povero tesoro dei sogni perduti, Gesù si avvicina. Essi lo rimpiangono ed egli è là che cammina con loro. “Lui” e “loro”: Luca inquadra la sua frase in queste due parole che riassumono la storia, ogni storia. Lui con noi». (Michele de Certeau)
Rinnovare il discorso con questo compagno di viaggio, con il pellegrino che non riconosciamo e che ci cammina accanto ogni giorno anche quando i nostri occhi spenti non lo vedono, è il dono che chiediamo al Signore scegliendo il gesto di devozione che chiamiamo ‘adorazione eucaristica’.
Gesù che condivide con noi la mensa quando spezza il pane, rimane presente e vivo nella custodia eucaristica. Egli rinnova dentro di noi, che ci cibiamo di Lui, mistero della sua morte, che è vita. Quando ci poniamo di fronte a Lui in adorazione, noi contempliamo il Signore vivo, presente in carne e sangue, in corpo e anima, con l’umanità e la divinità. Ci viene spontaneo adorare, benedire, ringraziare. Il pane consacrato ci unisce al Padre, parliamo con il Figlio, Parola eterna del Padre. Ci siamo cibati di un pane che condanna il nostro egoismo, e ascoltiamo il Signore che ci nutre della forza dell’amore.
È voler bene che rende liberi e raccoglie tutti in unità. Ci viene spontaneo confrontare il vissuto quotidiano con il mistero davanti al quale siamo in preghiera: ci siamo cibati di un medesimo alimento spirituale, e con realismo riconosciamo anzitutto le distanze, tanto faticose da scoprire e eliminare, tra le persone che si sono cibate alla stessa mensa e che addirittura fanno parte della medesima comunità cristiana.
È dunque importante la preghiera di adorazione dell’Eucaristia; fa parte di quei mezzi posti dal Signore a presidio della novità di Vita a cui Egli ci ha introdotti mediante la fede. All’inizio dunque sta la memoria della nostra condizione di credenti risanati dallo Spirito del Signore; siamo persuasi che il battesimo e la santa cena ci hanno strappati a noi stessi, ci hanno consentito un passaggio per vivere nella invisibile fiamma dello Spirito che conserva il mondo, lo santifica e lo redime in Dio.
Entriamo nell’esercizio della adorazione e per prima cosa dobbiamo fare in modo che il nostro spirito trovi quiete. Lo sappiamo bene che come allarghiamo, per così dire, la tela compatta del nostro agire, emergono le difficoltà, si presentano immediatamente le prove grandi o piccole. Si fanno presenti le preoccupazioni che abbiamo. Un passaggio dunque necessario per entrare in preghiera è il quietare l’anima, facendo riferimento alla bella immagine del Salmo 131: «lo invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia».
L’adorazione al Santissimo Sacramento ci pone davanti alla umanità del Signore; Egli che ha vissuto in pienezza le verità umane, in tutte le forme; è la sua grazia che ci aiuta a riconoscere la verità autentica che si cela in ogni singolo comportamento, in ogni verità umana. Così ci è dato far scorrere tutta la nostra storia, recente o lontana, ed esplorare quello che siamo in verità quando, nel silenzio e con spirito di adorazione, ci poniamo di fronte a noi stessi, alla luce del Dio immolato per amore.
Il Pane consacrato, dinanzi ai quale ci soffermiamo in preghiera, vive in noi che ci siamo nutriti alla mensa della Parola quando, con sacerdote e l’intera comunità, è stato spezzato il pane. L’adorazione eucaristica è il momento in cui chiediamo con tutto il cuore di poter trovare risposta a quella inquietudine che ci spinge a desiderare tutta quanta la verità. È in questo spazio di silenzio, di adorazione, di domanda che ci viene dato di attingere alla verità più alta che è presente in ogni verità umana, e in ogni comportamento dei fratelli e delle sorelle. Non l’esercizio della critica o del giudizio prevale in noi, ma l’accoglienza delle diversità di caratteri o di giudizi e comportamenti.
L’esporci alla luce misteriosa che irradia dal Santissimo Sacramento ci dona la grazia di porre nella nostra vita quei segni che consentano il rivelarsi dell’Amore redentore a coloro che vivono con noi, o che incontriamo nella nostra quotidianità. La dimensione missionaria di ogni vita cristiana è presente nella preghiera di adorazione. Il Santissimo Sacramento ci accompagni sulle strade di questo mondo, rinnovi in noi Io stupore dei due discepoli che alla tavola di Emmaus riconobbero che il Signore era stato con loro lungo la via. E il dialogo frequente con pane consacrato nel sacrificio della Messa, aiuti a ravvisare il Volto del Signore nei nostri incontri quotidiani.
Mimmo Muolo L’istruzione sulla parrocchia. Un centro utile e buono anche in ogni periferia
da AVVENIRE 21 Luglio 2020
Qualche anno fa un noto allenatore di calcio, dopo aver incassato i complimenti per aver rilanciato una squadra in crisi, si schermì sostenendo: «Ho solo rimesso la chiesa al centro del paese». Il che, tradotto dalla metafora, voleva dire: «Ho riportato le cose alla loro normalità»….
Alessandro D’Avenia Libridine
da Il corriere della sera 29 giugno 2020
«Non leggevo, ma dopo quel libro non ho più smesso», è un messaggio che ricevo spesso da ragazzi che mi chiedono nuovi titoli, dopo essersi imbattuti nel libro «apri-porta», quello a cui tutti dobbiamo il nostro primo indimenticabile atto di «libridine», l’eros per la vita scatenato dalla parole: «quella viva ed ansiosa speranza di cose spirituali» con cui Cesare Pavese indicava la sua giovanile fame di leggere. Mi scrivono infatti «l’ho divorato», senza sapere che leggere ha origine da un verbo greco che …
Umberto Folena La parrocchia baluardo contro il consumismo
Da Avvenire – 5 luglio 2020
Bambino è una parolina che in troppi casi si trasforma in parolaccia. Accade quando quel fantastico vulcano in eruzione rigurgitante fantasia, invenzioni, curiosità, idee e creatività viene ridotto a un deserto piatto privo di vita, che non sia quella indotta dal mercato.
Scrive Paolo Landi ( Manuale per l’allevamento del piccolo consumatore, Einaudi, 2000): «La pubblicità deve indurre il bambino a ritenere che il mancato possesso del prodotto pubblicizzato significhi inferiorità, mancato assolvimento dei loro doveri da parte dei genitori, emarginazione. Il bambino convinto di essere privato di qualcosa che tutti, come dice lo spot, dovrebbero avere, diventerà la molla più efficace per convincere i genitori all’acquisto». …
È fin troppo semplice e, difatti, funziona.
Luigino Bruni La beatitudine della sete
da Avvenire – 4 luglio 2020
“L’invocazione dell’uomo è l’invocazione stessa di Dio. L’uomo prega a immagine e somiglianza di Dio: di chi, se no, in questa che è la più grande delle sue opere? I Salmi sono la preghiera di Dio”. (Sergio Quinzio, Un commento alla Bibbia)
La qualità spirituale della nostra vita dipende da come usciamo da pochi incontri decisivi. Uno di questi è quello tra il ragazzo che eravamo e l’adulto che siamo diventati. …
Emanuele Bordello La Chiesa alla prova della pandemia
Alla fine del lockdown si impone una riflessione critica di come questo tempo è stato vissuto pastoralmente dalle comunità ecclesiali.
«Il vero dramma di questa crisi sarebbe sprecarla»: questo il monito di papa Francesco, relativo al particolare momento di prova che abbiamo vissuto con la pandemia del Covid-19. Abbiamo provato a raccoglierlo, a Camaldoli, offrendo alcune giornate di incontro, per rilanciare la riflessione sul presente ecclesiale che stiamo vivendo, in base a quanto è emerso in questo periodo così particolare. Incontro… in carne e ossa, convinti del plusvalore della dimensione di presenza fisica per la fecondità di una riflessione corale, pur rispettando naturalmente precauzioni e distanze. …
Giovanni Giudici La preghiera di fronte alla malattia
Tutti sappiamo bene, anche per esperienza personale, che di fronte alla malattia l’invito a pregare suscita reazioni diverse: lo scandalo di chi dice che pregare non serve a nulla; la sofferenza di chi ha chiesto il ‘miracolo’ e non l’ha ottenuto; lo scetticismo di chi prega, ma si dichiara da subito non persuaso della utilità del gesto. Un cristiano non pone un legame tra il peccato, nella forma dell’ingiustizia, e la malattia. È quella reazione istintiva che ci fa affermare, in caso di un dolore che ci attanaglia: “Che cosa ho fatto di male, perché mi ha aggredito questa disgrazia?”. …
Battista Borsato CHI PREGHIAMO
Qual è il significato della preghiera? Chi preghiamo? Come funziona la preghiera? Solitamente la preghiera si identificava con la petizione o l’intercessione rivolta a Dio affinché venisse in aiuto a un problema personale o sociale. Questa preghiera è nata fin dall’inizio dell’umanità, quando gli uomini cercavano un protettore più potente delle forze della natura che li minacciavano.
Roberto Marchesini Padre e madre
Il padre – come ha scritto Sigmund Freud (1856 – 1939), il padre della psicoanalisi – è colui che pone un limite; la madre eliminerebbe ogni ostacolo sulla strada del figlio; il padre testimonia che c’è qualcosa di più importante di sé, per la madre nulla è più importante del figlio; …
Walter Kasper IL CUORE DI GESU
La Festa del Cuore di Gesù è una delle più recenti del nostro calendario liturgico (1856) e la devozione al suo Cuore, come noi la conosciamo, si è sviluppata soltanto nei tempi moderni; ma il suo messaggio fondamentale affonda le sue radici nella Sacra Scrittura….
Gabriele Ferrari Gli insegnamenti del coronavirus– Tre livelli di riflessione
La risposta di p. Gabriele Ferrari, missionario saveriano. a una signora che gli ha scritto in questi giorni, chiedendo come e cosa dovevano essere i cambiamenti che tutti dicono saranno necessari come risposta alla crisi attuale. …
Ernesto Olivero Competenza speranza. E rimettere Dio in cima
Non sembra vero, ma ci è dato di ripartire. Usciamo da mesi complicati e difficili: la paura ci ha segnato, portiamo con noi il dolore per tante persone care che non ci sono più, la normalità non è ancora piena….
Piergiordano Cabra Dietrologie
Di fronte alla mattanza di anziani di questi giorni, alcuni dietrologi, o esperti in complottologia, avrebbero individuato tra gli occulti responsabili della pandemia in corso, l’INPS, che in tal modo avrebbe potuto tentare di liberarsi dal peso insopportabile di anziani irresponsabilmente longevi, che mettono in crisi il sistema.
C’è chi assicura che sia coinvolto pure il Vaticano, che avrebbe messo lo zampino per rilanciare la quaresima e la settimana santa, facendo riaffiorare, sotto lo stimolo della paura e dell’irrazionale, il languente sentimento religioso….
Alessandro d’Avenia Il cacciatore e il consolatore
«Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non ha il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa. Non ho ereditato né un dio né un punto fermo sulla terra da cui attirare l’attenzione di un dio. Di una cosa sono convinto: il bisogno di consolazione che ha l’uomo non può essere soddisfatto». Così scriveva l’autore svedese Stig Dagerman in un breve monologo del 1952, …
Alessandro d’Avenia Pietà per la scuola
Il 21 maggio del 1972 un uomo, tra le urla, si lanciò con un martello contro la Pietà di Michelangelo in San Pietro. Prima che un pompiere, in visita alla basilica, riuscisse a bloccarlo aveva già assestato 12 martellate alla statua della Madonna, staccandole un braccio e sfigurandole il volto. Tutti si sentirono feriti nel proprio corpo, …
Domenico Battaglia Dal sepolcro vuoto a discepoli di Gesù
Dove il povero comincia a vivere, dove il povero comincia a liberarsi, dove gli uomini sono capaci di sedersi attorno ad una tavola comune per condividere ciò che possiedono, Dio è presente. Povero è sempre colui che si mette in cammino e cerca. ….
Alessandro d’Avenia L’arte del naufragare
Lucetta Scaraffia ORA, DOBBIAMO FARE SUL SERIO
Le giornate in tempo di segregazione da coronavirus sono molto lunghe, non finiscono mai. Scandite da tappe sempre uguali: telefonate di informazione ma anche di intrattenimento, social e, soprattutto, brevi uscite per comprare beni di prima necessità. Le code davanti ai supermercati, alle farmacie e alle tabaccherie sono lunghe, talvolta lunghissime, ma nessuno è impaziente, nessuno sospira pensando al tempo che perde come succedeva prima alla cassa dei supermercati.
Daniele Novara GENITORI IN TEMPO DI VIRUS
Il virus non se ne va in quattro e quattr’otto come temerariamente si sperava all’inizio dell’emergenza. Sulle prime, la chiusura con i figli sembrava quasi una vacanza sui generis o fuori stagione. Anzi, la libertà dalla scuola incoraggiava ogni sorta di fantasia. La faccenda in realtà appare molto complicata: i figli scalpitano e la parentesi diventa una cartina di tornasole delle capacità genitoriali e delle competenze educative, che può segnare per sempre questa relazione così fondamentale per la crescita delle nuove generazioni.
Luigino Bruni PERCHE’ NIENTE SIA PIU’ COME PRIMA
“Niente sarà più come prima”. Si sente dire spesso in queste settimane. Speriamo tutti che cambi il modo politico e sanitario di affrontare e prevenire le emergenze globali. Non è, però, affatto detto che cambi il modello economico o il capitalismo. Ci attendono mesi di seria crisi economica, soprattutto in alcuni settori che più dipendono dalla mobilità, come turismo, ristorazione, cultura …
Giancarlo Bregantini LA PRIMA COSA BELLA
Si apre nella sofferenza questo maggio dedicato alla Vergine Maria. Il coronavirus ha generato paure e danni economici enormi. Viviamo questo dramma insieme, tutti nella stessa barca, come ha ricordato papa Francesco il 27 marzo, durante la veglia in una piazza San Pietro deserta. Per questo la ripresa sarà faticosa, ma non impossibile. Recita uno slogan: “Niente sarà più come prima”. A questa frase – da fiducioso quale sono – aggiungerei: “Tutto sarà migliorato”. A partire dalle relazioni fraterne e familiari, dal nostro rapporto col Creato e con le risorse comuni. In questi mesi di emergenza abbiamo capito che niente va sprecato, tantomeno sottratto al patrimonio sociale, penso soprattutto alla sanità e alla ricerca. …
Rosanna Virgili SFOGARE IL CUORE, INSIEME E NEL NOME DEL PADRE – Avvenire 14 maggio 2020
La preghiera è un linguaggio universale che non appartiene solo all’homo religiosus ma interpreta tensioni dell’umano che trovano espressioni diverse, oggetti e metodi molteplici e creativi. Essa può essere intro-spettiva o psicologica, dedita all’intimità della persona, finalizzata a una conoscenza di sé, al piacere o alla pace interiore. Può essere contemplativa e declinarsi come una disciplina di pensiero, intellettuale, meditativa, rivolta all’intuizione, alla ricerca della verità o della bellezza. …
Alessandro d’Avenia La forma dell’Amore Una riflessione sul Cantico dei Cantici
«Ehi, voi due, cos’è che volete l’uno dall’altro? Desiderate congiungervi indissolubilmente in una sola cosa, così da non lasciarvi né di giorno né di notte?» chiede il dio Efesto a due amanti sorpresi a unirsi, in un passo memorabile del Simposio, il dialogo di Platone sull’amore. …
Luigino Bruni salmo 8 da Avvenire
Alcune persone ricordano per tutta la vita il giorno in cui hanno visto per la prima volta il cielo stellato. Lo avevano “visto” altre volte, ma in una benedetta notte è successo qualcosa di speciale e lo hanno visto veramente. …
Alessandro d’Avenia L’infinito
«Quando guardo il cielo stellato sembra che tutto si cristallizzi e sia in armonia e che io sia perfettamente in armonia con il tutto. Ma poi torno in me, e torna l’inferno. Non so cosa fare, come potere finalmente accettarmi come sono». Così mi scrive una ventenne studentessa di astronomia….
Rosanna Virgili Covid 19: Ogni diluvio è fonte di trasformazione
Nell’ultimo giorno della sua vita Mosè espresse a Dio un desiderio: «Permetti che io passi di là e veda la bella terra che è oltre il Giordano e questi bei monti e il Libano». Ma dura fu la risposta di Dio: «Volgi lo sguardo a occidente, a settentrione, a mezzogiorno e a oriente e contempla con gli occhi, perché tu non attraverserai questo Giordano » (Deuteronomio 3,25–27) ….
Alessandro d’Avenia Infodemia
«Garson Poole si svegliò in un letto di ospedale e si accorse di due cose: gli mancava la mano destra e non sentiva dolore». Il protagonista di Formica elettrica di Philip K.Dick, uno dei più geniali autori del secolo scorso, non ricorda nulla del suo incidente. …
Francesco Cosentino La vita ed il culto
La storia dei due discepoli di Emmaus, che abbiamo incontrato nella III domenica di Pasqua, è una straordinaria pennellata dell’evangelista Luca, una delle più belle storie mai raccontate. Da qualunque prospettiva la guardi, è una pagina di rivelazione, che parla alla nostra vita …
Alessandro d’Avenia La dea Ansia
La dea AnsiaAlessandro D’Avenia«Ansia» è stato il nome scelto da una bambina di quinta primaria, quando una collega ha chiesto alla classe di inventare una divinità, dopo aver spiegato loro che gli antichi divinizzavano ciò che ha potere sulla vita: Destino, Invidia, Bellezza… La decenne ha così giustificato la scelta: «Mia madre mi dice sempre che, se non mi impegno, non troverò lavoro». …
David Grossman Quando finirà Riflessione pubblicata dal quotidiano israeliano Haaretz, fondato nel 1919
È più grande di noi, questa epidemia. È più forte di qualsiasi nemico in carne e ossa che abbiamo mai incontrato, più potente di qualsiasi supereroe che abbiamo immaginato o visto in un film. Di tanto in tanto si fa strada nel nostro cuore un pensiero straziante, che forse stavolta, nella lotta a questa epidemia, perderemo, perderemo davvero. …
Matteo M.Zuppi non siamo_soli della collana “Emibook”
La sala della preghiera è il cuore. Il cristiano non è un solitario, intelligente o adulto, utilitarista o spettatore che sia. Il cristiano è sempre un figlio, generato come nuova creatura dal Signore che lo fa passare dalla morte alla vita, che lo prende con sé, che lo affida a sua madre, a cui è affidata sua madre e con lei i tanti fratelli. …
Giuliano Zanchi I giorni del nemico – Il grande contagio e altre rivelazioni
n una delle prime scene di Chernobyl, una formidabile e angosciosa serie televisiva prodotta congiuntamente da HBO e Sky, si vede gente ammassata su un ponte, che da lontano contempla i bagliori della centrale nucleare in fi amme, mentre dell’invisibile polvere di grafi te por-tata dal vento sta già avvolgendo corpi del tutto ignari di quello che succede. Sembra folla raccolta per uno spetta-colo di fuochi artifi ciali. …
Alessandro d’Avenia Ce la faremo?
ulla polverosa strada verso Emmaus, un paesino a pochi chilometri da Gerusalemme, due uomini parlano animatamente, quando un solitario viandante li affianca incuriosito:«Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Hanno il volto triste, e uno di loro gli risponde tra lo stupito e l’ironico: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Il viandante chiede: «Che cosa?». …
Dietrich Bonhoeffer Bonhoeffer
La Bibbia, l’evangelo, Cristo, la chiesa, la fede, sono un grido di guerra contro la paura. La paura: è il nemico originario. Essa si installa nel cuore dell’uomo, lo scava, sino a che improvvisamente egli si trova privo di resistenza, senza forza, e crolla. Furtivamente essa corrode tutti i fili che congiungono l’uomo a Dio e agli altri, e quando l’uomo, dall’abisso della propria indigenza, tenta di aggrapparvisi, quelli si strappano, ed egli impotente sprofonda ricadendosu di sé, fra gli sghignazzi dell’inferno. E allora la paura lo guarda dritto in faccia con un sogghigno e dice: “Adesso siamo soli, tu e io, adesso ti mostro il mio vero volto”. …
Marco Roncalli L’anniversario. Settant’anni fa’ l’impiccagione del teologo luterano Bonhoeffer – Il cristiano che sfidò Hitler
Raniero Cantalamessa Omelia della Passione di Cristo in Vaticano
San Gregorio Magno diceva che la Scrittura cum legentibus crescit, cresce con coloro che la leggono.[1] Esprime significati sempre nuovi a seconda delle domande che l’uomo porta in cuore nel leggerla. E noi quest’anno leggiamo il racconto della Passione con una domanda –anzi con un grido –nel cuore che si leva da tutta la terra. Dobbiamo cercare di cogliere la risposta che la parola di Dio dà ad esso …
Pierangelo Sequeri , Chiara Giaccardi, Alessandro D’Avenia Letture – Le parole che servono per case sulla roccia – La via dell’eternità
Thomas Halik Il segno delle chiese vuote. Per una ripartenza del Cristianesimo
Il nostro mondo è malato. Non mi riferisco soltanto alla pandemia del coronavirus, ma allo stato della nostra civil-tà, che questo fenomeno globale rivela. In termini biblici, è un segno dei tempi. …
Lorenzo Fazzini – Dio in quarantena
Si può fare una teologia del Covid-19? È possi-bile pensare teologicamente il coronavirus? Che cos’ha da dire la parola umana su Dio di fronte alla pandemia che da alcune settimane stravolge la nostra vita e la storia del mondo? Dio e co-ronavirus sono due termini che possono stare in una stessa frase che non sia di senso negati-vo? …
José Tolentino Mendoça – “Il potere della speranza”
Di fronte all’inedito dell’epidemia da Coronavirus, sentiamo di non avere parole adeguate per dar voce al nostro vissuto. Spaesati da un incubo divenuto realtà, si è tentati di attraversare questi giorni come tra parentesi, da anestetizzati, in attesa che tutto passi. …
Roberto Laurita – La settimana Santa
Marcello Neri – nuova costituzione del mondo – L’Osservatore romano 4 Aprile 202
Senza nessuna preparazione, e neanche controppa consapevolezza da parte nostra, lastoria ci ha catapultato in una di quelle suefasi che potremmo chiamare di carattere costituente.Nei prossimi mesi si scriveràil tratto costituzionalenon solo del nostro paese, ma anchedell’architettura complessiva delle cose e delmondo. E questo vale pure per la Chiesa….
L’Adige Clarisse di BORGO – 30.03.2020
L’emergenza del Covid-19 ha come dilatato il tempo al monastero di Borgo. Ha esteso in profondità le giornate. Per suor Veronica e le 11 monache le ore si sono fatte più intense. «Proprio così. Intense, non più lunghe come quando si veglia nelle notti di malattia perché il sonno non arriva: no, intense. Riempite di un essenziale che non pensavamo di trovare proprio qui. Proprioin un’emergenza. …